giovedì 22 dicembre 2016

Zitto Zuppa Zappare


(Questo post nasce come contributo per CRT “In busta chiusa”: loro mi hanno dato le tre parole del titolo, io ho messo le altre)

 
Zitto
Zuppa
Zappare

Come oggi con questa busta chiusa, negli appelli quasi sempre sono stato l’ultimo (rari i casi diversi: ricordo con sollievo gli anni di liceo in cui dopo di me c’era Lucia Zei) e questo forse mi ha portato fortuna. Difficile essere interrogato, difficile essere notato – se proprio non lo volevo. E da parte mia restavo volentieri zitto.
In effetti mi piace più ascoltare che parlare, e ho anche avuto modo di notare che quando parlo spesso qualcuno ci trova da ridire, e quindi appena posso lo evito. E quando devo, parlo poco. Ultimamente devo di più, perché mi capita di dover “tenere banco”, ma anche quando parlo in pubblico cerco di farlo stando zitto. Ovvero dicendo cose che parlino loro, e la mia parola sia soltanto un riferire e accostare, presentando sintesi di detti altrui, da cui far scaturire opinioni – non mie ma di chi ascolta. Vorrei che insomma quel che dico fosse suggerito, stimolo all'ascolto, ricerca e verifica, confronto. Tanto più ciò avviene da che divento sempre più sordo: spesso non sono in grado di rispondere alle domande. Me ne sto zitto dunque, e, se posso, scrivo. Scrivere ha grandi vantaggi, anche se può parere anacronistico in un’era di neo-oralità difendere la scrittura, che non disturba e non obbliga: per leggere (tanto più oggi) ci vuole un atto di volontà. Anche se la scrittura è debole, e non si difende, se viene usata male –abusata- e a volte ci rovina (penso ai mille contratti firmati ma non letti), usata da malintenzionati. Vere truffe avvengono con la scrittura, quotidianamente, e non parlo di soldi. Di qui la diffidenza del contadino. Ma io invece intendo, e anche in letteratura. Eppure, resto  convinto che la scrittura in sé sia magia pura – ieros gliphos - scultura sacra - il dolo sta nell’attuatore. Carta canta, se ci pensiamo questo conciso ossimoro è stratosferico. Per me è un po’ così: scrivo per cantare, anche se sto zitto, forse perché esco da un’infanzia di stonature (che c’entra, direte? Ho sempre pensato che chi canta deve arrivare a modulare una “voce sola”, nel senso che o ha una voce originaria, spontanea e naturale, che sa dove andare, e allora tanto di cappello, oppure deve educarla e educarsi al punto di riunire e armonizzare la polifonia naturale che tutti abbiamo dentro appunto in una sola voce – io non ci sono ancora, mi aggiro sperso nei meandri delle valli dell’eco, di me e degli altri, della perdita e del ritrovamento di entrambi – sordo, sono ancora per buona parte dentro al labirinto).
La scrittura  permette di isolare le voci, stratigrafarle, di seguirle una per una, senza fare troppi danni.

Zitto e mangia! Adoro la zuppa, da quando sto in Toscana ho preso l’abitudine di ammollare il pane raffermo, addirittura ribollirlo per farne mille zuppe diverse, da quella fredda che si chiama panzanella (estiva, e neanche zuppa, perché il pane viene strizzato e si mangia poi fredda, come un couscous) a quelle calde tipo ribollita o pappe varie; ingrediente principale è il pane secco, ma ci vuole quello scipo senza sale, altrimenti 'un viene uguale. Si tratta di cibi sovversivi (checché ne dica padre Bianchi di Bosa), pastoni per gli animali che siamo, ritorno a capo chino a un mondo contadino di penuria, in cui non si buttava nulla, il pane era troppo prezioso per darlo alle bestie. Oggi i panettieri offrono in regalo ceste di pane del giorno prima e conosco diversi che passano a raccoglierlo, stipato nei sacconi di carta delle farine, per darlo agli animali (dicono, ma volte ci trovano dentro anche schiacciate, pizze e croissant, basta scaldarle un attimo in forno e tornano fragranti - roba del giorno prima, dico).
Ma poi è anche bello pensare che zuppa vuol dire fradicia, intrisa fino alle ossa, come può capitare a una camminatrice sorpresa in montagna da pioggia a dirotto – a me quante volte è successo, la sento l’acqua come una forma particolare di condivisione con l’aria che mi bagna, e con le persone – sono zuppa d’amore potrebbe dire un’innamorata – sono zuppo di questa cosa (noi si diceva anche “zeppo”, che ci somiglia molto, anche se questa parola indica più una misura piena che un intridersi, una pervasione).


E veniamo allo zappare – zappe ne conosco un po’, da quando ero ragazzo e manovravo quelle di casa paterna, soprattutto gli zappini nell’orto della prozia, ma anche ora ogni tanto (foto1) da quando sono andato ad abitare vicino alla terra (nel senso che quando esco di casa non c’è l’asfalto, ma proprio un pratino verde di trifoglio, terra sterrata e tutto il resto).
Pare ora che la zappatura, secondo Fukuoka, padre della permacultura, sia una pratica inutile e devastante il suolo, e forse ha ragione. Perché svellere le zolle di terra, perché asportare la pelle dal terreno, e coltivare su una ferita aperta, la terra nuda e essiccante sotto il sole? Non è forse più rispettoso mettere a coltura le piantine sotto il sovescio, senza pretendere di creare l’orto, lasciando alla natura il resto? Ma noi dobbiamo mangiare tanto, e quindi? Quindi si zappa (che tra l’altro, tra tutte le operazioni del contadino resta una delle più faticose, di quelle che proprio spezzano la schiena). Io, per me, preferisco lo zappino, che è un po’ il bisturi del contadino, mi porta più vicino alla terra e alle piante e la mia misura è l’orto non il campo, in cui mi perderei.

Appendice: Altre zappe
La zappa sui piedi”, bello spettacolo di Andrea Pierdicca (si trova su Youtube) sull’introduzione dei pesticidi in agricoltura e la situazione attuale delle api.
La zappa” (foto2) di Rocco Lombardi, un poster che gli avevo commissionato per combattere contro le pale eoliche. La frase era mia e il poster, secondo me, con la sua contrapposizione tra pale e zappa, tra mostro vorace e contadino piegato, è venuto bellissimo. Ma non è diventato un’icona del movimento antieolico: fa paura, mi hanno detto. Amen, due librerie lo hanno accettato e forse l’hanno ancora in vendita, Calusca a Milano, e Black Spring a Firenze.


Zappatori senza terra (e senza padroni)”, (dulcis in fundo, è qui che volevo arrivare) era un movimento di ritorno alla terra degli anni ’70 e ’80, nella valle dell’Acquacheta, qui dietro Montaonda. Profughi della politica, frikkettoni in fuga dalla metropoli-droga, utopisti dell’alternativa verde. Ce ne sono ancora un po’, di quei pionieri di allora, sono rimasti una sparuta minoranza ma hanno mantenuto vivo un movimento interstiziale (così lo chiamo io), che andava a occupare gli spazi abbandonati delle campagne sui monti, dove di case e terreni non gliene fregava più niente a nessuno (oggi c’è chi prova ancora, ma è tutto molto più difficile). Non hanno vinto ma non hanno neanche perso, si sono vissuti una vita cocciuta, come gradiva a loro. Con alcuni di questi “ritornanti” ho rapporti duraturi, sono persone quasi normali (e chissà quante ce ne sono sparse per monti e colline d’Italia). Gli Zappatori senza terra sono nati prima degli Elfi, degli ecovillaggi, del cohousing e di tutti gli altri. Erano “quelli delle comuni”. Nella foto 3, si vedono 4 di loro sono in Piazza San’Annunziata a Firenze, dove è nata la Fierucola, il primo mercatino biologico italiano (tutt’ora esistente). C’è anche un libro che racconta la loro storia (in maniera un po’ univoca mi hanno detto loro), mi piacerebbe ripubblicarlo (integrandolo, o addirittura farne un altro). C’è diverso materiale online, il mio consiglio a chi fosse interessato è sfogliare la rivista underground Lato Selvatico, e tutto quel che si trova sotto “Selvatici” (altro che Scurati Moresco Funetta Ammanniti – l’alternativa al lutto c’è, ed è fiorita). Gli si aprirà un mondo (zitto, zuppo e zappatore: appartato ma presente in tutti i paesi occidentali, a partire dall’America dove si è innestato sui rami buoni del movimento alla conquista del West).


In Busta Chiusa, un progetto di Cartaresistente
Lettera Z di Luca Vitali
Illustrazione di testa: Davide Lorenzon

2 commenti:

  1. Zitto zitto, hai zappato nella zuppa delle mie radici. L'ho apprezzato assai

    RispondiElimina
  2. grazie - e scusa il ritardo, ma in questi giorni le mie radici mi reclamano tutti gli anni...

    RispondiElimina