(Questo post nasce come
contributo per CRT “In busta chiusa”: loro mi hanno dato le tre parole del
titolo, io ho messo le altre)
Zitto
Zuppa
Zappare
Come oggi con questa busta chiusa, negli appelli quasi
sempre sono stato l’ultimo (rari i casi diversi: ricordo con sollievo gli anni
di liceo in cui dopo di me c’era Lucia Zei) e questo forse mi ha portato
fortuna. Difficile essere interrogato, difficile essere notato – se proprio non
lo volevo. E da parte mia restavo volentieri zitto.
In effetti mi piace più ascoltare che parlare, e ho anche
avuto modo di notare che quando parlo spesso qualcuno ci trova da ridire, e
quindi appena posso lo evito. E quando devo, parlo poco. Ultimamente devo di più, perché mi capita di dover “tenere banco”, ma anche quando parlo in
pubblico cerco di farlo stando zitto. Ovvero dicendo cose che parlino loro, e
la mia parola sia soltanto un riferire e accostare, presentando sintesi di
detti altrui, da cui far scaturire opinioni – non mie ma di chi ascolta. Vorrei
che insomma quel che dico fosse suggerito, stimolo all'ascolto, ricerca e
verifica, confronto. Tanto più ciò avviene da che divento sempre più
sordo: spesso non sono in grado di rispondere alle domande. Me ne sto zitto dunque,
e, se posso, scrivo. Scrivere ha grandi vantaggi, anche se può parere
anacronistico in un’era di neo-oralità difendere la scrittura, che non disturba
e non obbliga: per leggere (tanto più oggi) ci vuole un atto di volontà. Anche
se la scrittura è debole, e non si difende, se viene usata male –abusata- e a
volte ci rovina (penso ai mille contratti firmati ma non letti), usata da
malintenzionati. Vere truffe avvengono con la
scrittura, quotidianamente, e non parlo di soldi. Di qui la diffidenza del contadino. Ma io invece
intendo, e anche in letteratura. Eppure, resto convinto che la
scrittura in sé sia magia pura – ieros gliphos - scultura sacra - il dolo sta nell’attuatore. Carta
canta, se ci pensiamo questo conciso ossimoro è stratosferico. Per me è un po’
così: scrivo per cantare, anche se sto zitto, forse perché esco da un’infanzia
di stonature (che c’entra, direte? Ho sempre pensato che chi canta deve
arrivare a modulare una “voce sola”, nel senso che o ha una voce originaria, spontanea
e naturale, che sa dove andare, e allora tanto di cappello, oppure deve
educarla e educarsi al punto di riunire e armonizzare la polifonia naturale che tutti abbiamo
dentro appunto in una sola voce – io non ci sono ancora, mi aggiro sperso nei
meandri delle valli dell’eco, di me e degli altri, della perdita e del ritrovamento
di entrambi – sordo, sono ancora per buona parte dentro al labirinto).
La scrittura permette di isolare le voci, stratigrafarle, di seguirle una
per una, senza fare troppi danni.
Zitto e mangia! Adoro la zuppa, da quando sto in Toscana ho preso l’abitudine di ammollare
il pane raffermo, addirittura ribollirlo per farne mille zuppe diverse, da
quella fredda che si chiama panzanella (estiva, e neanche zuppa, perché il pane
viene strizzato e si mangia poi fredda, come un couscous) a quelle calde tipo
ribollita o pappe varie; ingrediente principale è il pane secco, ma ci
vuole quello scipo senza sale, altrimenti 'un viene uguale. Si tratta di cibi
sovversivi (checché ne dica padre Bianchi di Bosa), pastoni per gli animali che
siamo, ritorno a capo chino a un mondo contadino di penuria, in cui non si
buttava nulla, il pane era troppo prezioso per darlo alle bestie. Oggi i
panettieri offrono in regalo ceste di pane del giorno prima e conosco diversi che
passano a raccoglierlo, stipato nei sacconi di carta delle farine, per darlo
agli animali (dicono, ma volte ci trovano dentro anche schiacciate, pizze e croissant,
basta scaldarle un attimo in forno e tornano fragranti - roba del giorno prima, dico).
Ma poi è anche bello pensare che zuppa vuol dire fradicia,
intrisa fino alle ossa, come può capitare a una camminatrice sorpresa in
montagna da pioggia a dirotto – a me quante volte è successo, la sento l’acqua come
una forma particolare di condivisione con l’aria che mi bagna, e con le persone
– sono zuppa d’amore potrebbe dire un’innamorata – sono zuppo di questa cosa
(noi si diceva anche “zeppo”, che ci somiglia molto, anche se questa parola indica
più una misura piena che un intridersi, una pervasione).
E veniamo allo zappare
– zappe ne conosco un po’, da quando ero ragazzo e manovravo quelle di casa
paterna, soprattutto gli zappini nell’orto della prozia, ma anche ora ogni
tanto (foto1) da quando sono andato ad abitare vicino alla terra (nel senso che
quando esco di casa non c’è l’asfalto, ma proprio un pratino verde di trifoglio,
terra sterrata e tutto il resto).
Pare ora che la zappatura, secondo Fukuoka, padre della
permacultura, sia una pratica inutile e devastante il suolo, e forse ha
ragione. Perché svellere le zolle di terra, perché asportare la pelle dal
terreno, e coltivare su una ferita aperta, la terra nuda e essiccante sotto il
sole? Non è forse più rispettoso mettere a coltura le piantine sotto il
sovescio, senza pretendere di creare l’orto, lasciando alla natura il resto? Ma
noi dobbiamo mangiare tanto, e quindi? Quindi si zappa (che tra l’altro, tra
tutte le operazioni del contadino resta una delle più faticose, di quelle che
proprio spezzano la schiena). Io, per me, preferisco lo zappino, che è un po’
il bisturi del contadino, mi porta più vicino alla terra e alle piante e la mia
misura è l’orto non il campo, in cui mi perderei.
Appendice: Altre
zappe
“La zappa sui piedi”,
bello spettacolo di Andrea Pierdicca (si trova su Youtube) sull’introduzione
dei pesticidi in agricoltura e la situazione attuale delle api.
“La zappa” (foto2)
di Rocco Lombardi, un poster che gli avevo commissionato per combattere contro
le pale eoliche. La frase era mia e il poster, secondo me, con la sua
contrapposizione tra pale e zappa, tra mostro vorace e contadino piegato, è venuto
bellissimo. Ma non è diventato un’icona del movimento antieolico: fa paura, mi
hanno detto. Amen, due librerie lo hanno accettato e forse l’hanno ancora in
vendita, Calusca a Milano, e Black Spring a Firenze.
“Zappatori senza terra
(e senza padroni)”, (dulcis in fundo, è qui che volevo arrivare) era un
movimento di ritorno alla terra degli anni ’70 e ’80, nella valle dell’Acquacheta,
qui dietro Montaonda. Profughi della politica, frikkettoni in fuga dalla
metropoli-droga, utopisti dell’alternativa verde. Ce ne sono ancora un po’, di
quei pionieri di allora, sono rimasti una sparuta minoranza ma hanno mantenuto
vivo un movimento interstiziale (così lo chiamo io), che andava a occupare gli
spazi abbandonati delle campagne sui monti, dove di case e terreni non gliene
fregava più niente a nessuno (oggi c’è chi prova ancora, ma è tutto molto più
difficile). Non hanno vinto ma non hanno neanche perso, si sono vissuti una
vita cocciuta, come gradiva a loro. Con alcuni di questi “ritornanti” ho
rapporti duraturi, sono persone quasi normali (e chissà quante ce ne sono
sparse per monti e colline d’Italia). Gli Zappatori senza terra sono nati prima
degli Elfi, degli ecovillaggi, del cohousing e di tutti gli altri. Erano “quelli
delle comuni”. Nella foto 3, si vedono 4 di loro sono in Piazza San’Annunziata
a Firenze, dove è nata la Fierucola, il primo mercatino biologico italiano
(tutt’ora esistente). C’è anche un libro che racconta la loro storia (in
maniera un po’ univoca mi hanno detto loro), mi piacerebbe ripubblicarlo
(integrandolo, o addirittura farne un altro). C’è diverso materiale online, il mio
consiglio a chi fosse interessato è sfogliare la rivista underground Lato Selvatico, e tutto quel che si
trova sotto “Selvatici” (altro che Scurati Moresco Funetta Ammanniti –
l’alternativa al lutto c’è, ed è fiorita). Gli si aprirà un mondo (zitto, zuppo
e zappatore: appartato ma presente in tutti i paesi occidentali, a partire
dall’America dove si è innestato sui rami buoni del movimento alla conquista
del West).
In Busta Chiusa, un progetto di Cartaresistente
Lettera Z di Luca Vitali
Illustrazione di testa: Davide Lorenzon
Zitto zitto, hai zappato nella zuppa delle mie radici. L'ho apprezzato assai
RispondiEliminagrazie - e scusa il ritardo, ma in questi giorni le mie radici mi reclamano tutti gli anni...
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